Giampaolo Babetto di Stefania Vittoria Arcari - fotografie di Simon171
[Stefania Vittoria Arcari] Alcuni artisti, quando finiscono un lavoro, sentono una vertigine. Succede anche a te?
[Giampaolo Babetto] All’inizio, per me, era sempre un problema. Dopo aver concluso un progetto sentivo un vuoto dentro. Facevo fatica a uscirne perché non avevo ancora imparato ad affrontarlo. Bisogna conoscere bene il lavoro e la tecnica, poi, col tempo, crescendo insieme al lavoro si sviluppa anche la possibilità di evitare questi “buchi”, di non sentirsi più male.
[SVT] Perdevi l’energia?
[GB] Era come se il lavoro assorbisse la mia energia vitale. Lavoro sempre con molta energia perché per trattare i metalli ci vuole una tecnica molto sofisticata, complessa, laboriosa. E all’inizio, da giovane, ne uscivo svuotato, senza forze. Adesso non è più così. Ora è come se avessi uno schema, doso le forze. Questi lavori sembrano semplici in apparenza… per esempio “il vuoto”. Spesso questi sono oggetti vuoti. In realtà hanno uno spessore di due decimi di millimetro e quindi lavorarli diventa difficilissimo: quando si scaldano col fuoco, durante la saldatura, la lastra non rimane ferma, si muove ed è molto difficile controllarla. Però il vuoto serve perché è uno spazio immaginario interno.
[SVT] Parli di uno spazio immaginario. Cosa intendi?Vedi, è come se qualcosa “dentro” respirasse. Qualcosa “dentro l’oggetto”, che fa parte di questa sensazione che mi piace avere, qualcosa che ha un movimento, un’anima, un respiro. A volte hai anche l’impressione di aver realizzato una forma grande, importante, ma quando la prendi in mano scopri che è leggerissima, perché è vuota.
[SVT] Come fai a capire quando un gioiello è finito? A dire “basta”?
[GB] Mi piace giocare su più fronti. Cerco di tenere insieme le componenti, le variabili che prendo in considerazione, e non mi sono mai fermato alle forme. Non mi interessa ottenere sempre la geometria, so che lo posso fare, e mi piace anche
lavorare sulla figura. Per esempio mi piace il Pontormo. Gli affreschi sono stati
consumati dal tempo, si vedono ora solo macchie di colore, ma si intuisce bene la
forma, la linea del disegno. Quando ho visto la Visitazione del Pontormo nella Villa medicea di Poggio a Caiano in Toscana, mi sono chiesto, “come faccio a entrare nell’argomento?” Spesso usavo le misure, cioè mi servivo dei numeri per creare rapporti matematici, come la sezione aurea. Mentre osservavo quelle silhouette così allungate, sinuose, eleganti… ho deciso di provare, ho individuato alcuni dettagli nelle pitture degli affreschi e li ho resi… dei gioielli, credo. Perché il gioiello, secondo me, va proprio visto indossato. Solo così si può capire se è un vero gioiello, perché deve dare e avere un senso nel corpo. Altrimenti, sono solo piccole sculture in miniatura, non gioielli.
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