Francesco Urbano Ragazzi di Federica Tattoli - fotografie di Mauro Maglione
[Federica Tattoli] Raccontatemi come vi siete incontrati. Come è nato e perché Francesco Urbano Ragazzi? Qual è il vostro filone di ricerca?
[Francesco Urbano Ragazzi] Diciamo che la nostra storia affonda le sue radici nell’odio. Ci siamo conosciuti a Venezia da giovanissimi, avevamo 19 anni ed eravamo nemici giurati! Non avevamo nessun tipo di simpatia l’uno per l’altro e ovviamente seguivamo il nostro percorso di studi tenendoci ben separati. Finché a un certo punto ci siamo conosciuti meglio – questa è la dimostrazione che ci si può ricredere – e ci siamo ricreduti.
[FT] Solo le persone veramente intelligenti, sanno ricredersi.
[FUR] O quelle veramente stupide. O gli incoerenti. Sicuramente non siamo coerenti, questo è certo. Insomma,l’incoerenza l’ha fatta da padrona, e ci ha portato a conoscerci meglio. Ora siamo insieme da vent’anni. Il sodalizio di tipo creativo e professionale, esistenziale, è arrivato a un secondo livello quando abbiamo iniziato a lavorare insieme a Parigi nel 2008. Da lì abbiamo cominciato a concepire insieme dei progetti, immaginare delle mostre, a tratteggiare la nostra carriera dal punto di vista autoriale.
Il nome Francesco Urbano Ragazzi è nato invece tra il 2011 e il 2012 con una mostra che avevamo curato (presso la Fondazione Bevilacqua La Masa, a Venezia, ndr), in cui appunto venivano alla luce una serie di interessi sotterranei nel nostro percorso. La mostra si chiamava “Io, tu, lui, lei”.
È stata forse una delle prime mostre in Italia sull’eredità dei movimenti di liberazione sessuale. In quel caso abbiamo invitato un gruppo di artisti a entrare in contatto con degli anziani appartenenti alla comunità LGBTQ+ e a celebrare le loro storie. Dopo un anno di workshop, con gli artisti coinvolti, abbiamo organizzato una serie di pranzi e di cene per raccogliere le storie di queste persone, consapevoli che non avrebbero avuto degli eredi. Siamo partiti dall’idea che l’esperienza queer resta spesso non tramandata, e che ogni nuova generazione vive la sensazione di ricominciare da capo. Invece una storia esiste e tante linee genealogiche si possono tracciare.
L’idea di unire i nostri nomi anche per questo ci è venuta lì, effettivamente, se noi ci fossimo sposati avremmo avuto lo stesso nome: Francesco Urbano Ragazzi,perché ci chiamiamo entrambi Francesco e quindi, da allora, abbiamo iniziato a chiamarci Francesco Urbano Ragazzi, pensando di essere un’unica entità, un po’un Alighiero e Boetti al contrario.
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